Il commento del prof. Carlo Buzzi ai primi risultati emersi dall’indagine in corso su abitudini e stili di vita degli adolescenti in Italia promossa da Laboratorio Adolescenza e Istituto Iard.
L’indagine, promossa da Laboratorio Adolescenza e Istituto IARD, ha lo scopo di fare il punto sull’adolescenza dopo un anno di pandemia, di lockdown e di DAD. La ricerca, condotta attraverso una web-survey, non è ancora conclusa ma finora ha raccolto più di 7900 questionari tra giovani studenti dalla terza classe delle secondarie di primo grado all’ultima classe delle secondarie di secondo grado. Il campione è basato su scuole selezionate secondo la distribuzione regionale e tenendo conto anche dell’ampiezza delle città dove sono ubicate. Le scuole facenti parte del campione nazionale (con circa 3000 studenti e studentesse) hanno un apposito codice di riconoscimento, il questionario è stato tuttavia lasciato alla libera compilazione anche di giovani non inseriti nel campione. Attualmente i questionari “senza codice” hanno abbondantemente superato quelli rientranti strettamente nel campione, segno dell’interesse che le tematiche trattate hanno suscitato nella platea giovanile.
Veniamo ad alcuni dati, tenendo conto che pur non essendo definitivi esprimono una tendenza consolidata. Il quadro risultante può essere letto puntando l’accento sulle ripercussioni che l’emergenza sanitaria sta producendo sulla salute delle giovani generazioni soprattutto dal punto di vista psicologico. Direttamente o indirettamente gli elementi che riconducono ad una sofferenza di fondo manifestata attraverso stati d’ansia, difficoltà comportamentali o timore per il futuro appaiono evidenti: ad esempio molti giovani presentano disturbi nel sonno, sregolatezza alimentare, aumenti consistenti dell’utilizzo dei social network e disagio per la DAD.
Tutto ciò conferma quello che si dice diffusamente sulla ricaduta che il covid-19 ha avuto sulle giovani generazioni. Ed è assolutamente vero.
Ma è solo una parte dell’impatto sul mondo giovanile: se ci limitiamo ad osservarlo da questo versante, ci sfugge un’altra parte altrettanto importante.
Del resto la complessità che solitamente caratterizza ogni fenomeno sociale ci insegna come ogni evento sia differenziato al suo interno e comporti effetti diversificati. Non ci si deve pertanto stupire se la ricerca indica anche che ciò che sembrerebbe una monolitica e invariante manifestazione di malessere, di privazione e di compromissione in realtà si dimostra un’esperienza frastagliata, certamente critica ma che può avere conseguenze diverse sulla popolazione giovanile.
Prendiamo l’esperienza della didattica a distanza. Studenti e studentesse hanno vissuto mesi di formazione all’interno di contesti impreparati, giovani in difficoltà accanto ad adulti in difficoltà, giacché la buona volontà di molti insegnanti non è bastata, senza una specifica competenza, a rimodulare la lezione tradizionale utilizzando strumenti e strategie comunicative che richiedevano profonde trasformazioni.
I problemi sono stati avvertiti in modo diffuso: due studenti su cinque ha sofferto soprattutto per la difficoltà di seguire le lezioni, uno su tre la perdurante mancanza di contatto fisico con i compagni, uno su otto lamenta l’assenza di rapporto con gli insegnanti e una quota minore, ma non irrilevante, ha subìto l’inadeguatezza dei dispositivi tecnologici a disposizione.
Ma vi sono anche aspetti positivi all’interno di questa esperienza: ad esempio uno studente ogni quattro ha apprezzato la maggiore autonomia nella gestione dei tempi di studio, uno su dieci si è sentito più responsabilizzato, uno su otto ha intravisto un modo complessivamente più moderno di studiare, ben più della metà, e tra questi sicuramente molti pendolari, rileva il risparmio di tempo per gli spostamenti casa-scuola-casa.
E se a questi giovani gli si chiede: “quando sarà completamente superata la pandemia ti piacerebbe continuare a svolgere alcune attività online?” meno della metà risponde “no, assolutamente” ma due su cinque vedrebbe con favore una certa integrazione tra la normale attività a scuola con alcune attività a distanza e ad uno studente ogni sette piacerebbe addirittura una attività scolastica online prevalente sulle lezioni impartite fisicamente in classe.
Dunque effetti diversi, quando non del tutto divergenti, si sono intersecati all’interno di una generazione che ha vissuto in prima persona un’esperienza fuori dall’ordinario. Tuttavia questa diversa risposta nei confronti della difficoltà nasconde un’insidia che potrà influire sulla next generation.
Come in tutte le crisi non tutti gli individui rispondono allo stesso modo. Alcuni soffrono, si irrigidiscono, si passivizzano sotto il peso degli eventi avversi, non reagiscono; oppure si estremizzano, deviano, si oppongono in modo irrazionale. Ma altri, nella difficoltà, esprimono doti insospettabili, cercano soluzioni, sono flessibili. Nel nostro caso sono i giovani resilienti, che sanno mettere in campo strategie di coping per far fronte ai problemi insorgenti. Giovani che crescono. Non è difficile capire chi sono questi ultimi: sono giovani favoriti dall’avere genitori vicini ed educanti, che hanno la fortuna di avere insegnanti che hanno saputo tramutare l’avversità in opportunità, giovani inseriti in reti sociali positive, giovani che solitamente provengono da un backgound familiare di buon capitale culturale, dotati di spazi e dispositivi tecnologici adeguati.
Insomma, in una società come la nostra – caratterizzata da grandi disuguaglianze che si pongono alla base di tutti i problemi del Paese, della sua incapacità di crescere, di svilupparsi, di valorizzare le nuove generazioni, oppresse da una organizzazione sociale immobile e vecchia – l’irruzione del fenomeno pandemico provocherà paradossalmente un rafforzamento della diseguaglianza all’interno della stessa popolazione giovanile. Da una parte chi riuscirà a crescere ed affrontare l’adultità dotato di un bagaglio esperienziale aperto alla modernità, dall’altra chi rischia di rimanere irrimediabilmente indietro, di arrestare il suo processo di crescita, avviluppato su se stesso.
È di questa dicotomia incombente che dovremmo preoccuparci. Solo politiche attive, tese al rilancio del processo di crescita di quei giovani che non hanno avuto strumenti per reagire alla crisi potranno attenuare le tendenze alle diseguaglianze riaffermando concretamente il principio dell’equità generazionale e dei pieni diritti di cittadinanza.
di Carlo Buzzi - Università degli studi di Trento e Istituto Iard