Disponibili on line i primi risultati dell’indagine di IARD con Compagnia San Paolo sul ritardo Generazionale in Piemonte. Dal Progetto DECIDI, un viaggio nei contesti familiari edi vita dei giovani piemontesi.

Così introduce il lavoro Mariagrazia Gambardella, che ha curato l’indagine:

“C’era una volta il giovane, scrive Livi Bacci (1999), e tutti sapevano chi fosse. Finiti gli studi, l’apprendistato o il garzonato, a seconda dello strato sociale e del censo della famiglia, era chiamato alle armi – tappa obbligata verso la vita adulta. Terminato il servizio militare, l’aspettava il lavoro e poi la famiglia. Nel breve volgere di una manciata di anni si consumava il tragitto dall’adolescenza all’età adulta. Per le ragazze, naturalmente, la transizione era ancora più rapida.

I giovani, erano quelli. E per descriverli, si ricorreva a quel modello. A partire dal secondo dopoguerra e in modo progressivo la condizione giovanile vede però progressivamente modificarsi i suoi caratteri. Oggi, in particolare, il periodo di vita che racchiude la realtà giovanile si fa assai confuso. Esso finisce tra l’altro con l’abbracciare una fascia di età temporalmente sempre più estesa, che inizia con l’adolescenza e comprende buona parte del quarto decennio di vita – quando solitamente si completa, dopo un processo lento e faticoso, l’acquisizione di autonomia.

La condizione giovanile ha perduto il concreto aggancio al punto di arrivo della traiettoria che i giovani percorrono in direzione dell’ingresso nell’età adulta. I modelli di carriera adulta, punto di approdo della transizione, hanno a loro volta subito profonde trasformazioni, mettendo in forse l’associazione tra figure adulte e dimensioni quali la stabilità e l’integrità del sé (Saraceno, 1987). L’apertura al cambiamento e alla crisi, la capacità di porre in discussione aspetti anche cruciali dell’identità concorrerebbe oggi a sottolineare, nell’età adulta, più la trasformazione della stabilità.

A differenza dei propri genitori e nonni, i giovani si trovano a compiere le prime, significative, esperienze di vita in un contesto di profondo mutamento, nel quale vengono meno le certezze istituzionali e culturali che avevano sostenuto la ricerca identitaria delle generazioni precedenti.

Considerando, per esempio, solo il ruolo del lavoro, si nota come alcuni fattori – quali flessibilità e de-regulation – oggi ostacolino il prodursi di un racconto coerente di sé, inscindibile dall’idea di durata (Rampazi 2002).

Fuori, o concentrati in aree marginali del mercato, i giovani vedono la loro domanda di identità perdere un importante ambito in cui incanalarsi. E in particolare in Italia, a essere maggiormente colpita e minacciata da un livello di precarizzazione senza precedenti è proprio la generazione più istruita di sempre. È, la sua, una forma di multiattività precaria, in precedenza tipica soprattutto del lavoro femminile, in società invecchiate sul piano occupazionale, che non riescono a offrire impieghi attraenti, altamente qualificati, ben pagati e a tempo pieno. Nell’esperienza di questa generazione confluiscono dolorosamente istruzione eccellente, ma pessime prospettive di lavoro: si viene a creare una nuova figura sociale, il laureato senza futuro della generazione della precarietà.

La vocazione sembra essere un lusso a cui non si ha più diritto; più che un lavoro attraverso cui realizzarsi si cerca un impiego che gli permetta di sopravvivere. Beck (2016) parla al riguardo di una generazione del meno o di una generazione dalle incertezze fabbricate, una generazione anzitutto costretta ad accettare quello che rispetto ai decenni precedenti appare come un arretramento materiale.

I giovani si ritrovano allora a vivere uno spazio-tempo indefinito; conoscono una discontinuità del tempo vissuto, nel senso che la continuità del divenire si frantuma nella fluidità di continue metamorfosi nelle quali l’identità non perviene mai a una definizione. Perché, oggi, ciò che più li caratterizza è: la continua riduzione del loro peso demografico (nel 2015, secondo i dati Istat rappresentano circa il 21% della popolazione, con un calo di nove punti rispetto al censimento del 1991) l’espropriazione dei talenti, la posticipazione praticamente infinita delle scelte che contano, lo schiacciamento sul privato, la precarizzazione di lunga durata, lo iato tra capitale culturale posseduto e chances di vita (Cavalli 1980; Buzzi, Cavalli e de Lillo 2002). Di fatto nel nostro Paese il tempo che intercorre tra la fine del percorso formativo e la prima unione è tra i più elevati in Europa, così come l’età femminile e maschile alla prima unione e alla nascita del primo figlio, con conseguenze evidenti sul livello di fecondità, che è tra i più bassi d’Europa.

La nostra analisi si colloca in questa cornice. L’analisi della condizione giovanile e del divario generazionale nella Regione Piemonte – in particolare nei territori di Asti, Biella, Novara – è l’oggetto della nostra ricerca: un “viaggio” in prospettiva longitudinale (temporale) che, attraverso la letteratura – sia in campo nazionale che internazionale – l’analisi di tassi, coefficienti, statistiche, la costruzione di indici vuole definire quali sono i fattori che generano ritardo nella transizione all’età adulta e quali gli effetti che hanno o possono avere sul vissuto quotidiano giovanile (ma non solo) e sul destino del nostro Paese – anche in chiave prospettica.

Il punto di partenza è rappresentato dagli studi sulla misurazione del divario generazionale, il cosiddetto “Indice di divario generazionale” messo a punto in Italia per la prima volta dai ricercatori dell’associazione CluddiLatina nel 2014, sul modello dell’Intergenerational Fairness Index sviluppato nel Regno Unito dall’Intergenerational Foundation. In particolare, l’analisi realizzata in Italia e pubblicata dalla Fondazione Visentini ha ritenuto fattori direttamente incidenti sulla condizione giovanile, la disoccupazione, il reddito, l’istruzione e la formazione, la questione abitativa, la salute, il reddito, la mobilità territoriale e i mutamenti ambientali, le dotazioni infrastrutturali e come fattori che incidono indirettamente: il debito pubblico, la partecipazione democratica e la legalità.”

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