Di Paolo Paroni.
Nel film “La febbre”2, il protagonista Fabio Volo interpreta Mario, un giovane geometra di provincia, ricco di idee, entusiasta della vita e pieno di voglia di viverla. Ha in cuore un sogno: aprire un locale con i propri amici. Dopotutto chi non ha mai sognato di aprirne uno? Per quel locale è disposto anche a vivere una porzione di vita provvisoria, accettando d’indossare panni diversi dai suoi. Tutto il suo entusiasmo, le sue idee, i suoi progetti saranno vissuti di colpo dal mondo che lo circonda come una malattia contagiosa da curare con urgenza. Tanto che, deluso e disilluso, immagina in sogno di restituire al Presidente della Repubblica (interpretato da Arnoldo Foà), la propria carta di identità, dicendo di non voler più essere nessuno, di voler essere semplicemente “Mario”.
Giovani senza carta (d’identità)?
Quando si parla di politiche giovanili ci si imbatte subito in una difficoltà di comprensione: ma cosa sono le politiche giovanili?
Rispetto ad esse non ci sono elementi di certezza cui fare riferimento, tradizioni consolidate, riconoscimento dell’opinione pubblica attorno ad alcune pratiche. Rispetto ad altri ambiti, il grado di consenso attorno ad azioni politiche per i giovani è molto inferiore e ogni errore o fallimento di una specifica azione comporta il mettere in discussione tutto l’impianto e la legittimità stessa di politiche di questo tipo e di una spesa pubblica ad esse destinata.
La scena del film del regista D’Alatri può darci un’immagine significativa del “problema” a cui dovrebbero rispondere oggi le politiche per i giovani, ovvero quello dell’identità “sociale” delle giovani generazioni, della loro presenza nella società, della loro reale partecipazione alle responsabilità e alle sfide della contemporaneità.
In effetti, l’episodio del film sembra rappresentare al meglio la condizione degli adolescenti e dei giovani contemporanei, che stanno diventando grandi in un tempo di cinismo3, a cui si stanno abituando, non tanto nella dimensione valoriale e morale, quanto nella prassi dei comportamenti. È un luogo comune rintracciare nei giovani del nuovo secolo un profilo valoriale negativo, esprimendo giudizi di a-moralità e di smarrimento di valori etici condivisi dalle generazioni precedenti. È invece più opportuno riconoscere un adeguamento cinico dei comportamenti giovanili ad una prassi di opportunismo, di calcolo delle convenienze, di finzione sociale, di miopia culturale, che sono tratti diffusi nella società italiana4. Si tratta di cinismo di necessità, a cui ci si adegua con poca soddisfazione e poco entusiasmo, vissuto come un difetto generale e apparentemente insuperabile, in una società che risulta estremamente “bloccata”5.
Del resto, anche il Libro Bianco sulla Gioventù dell’Unione Europea rileva tra i giovani europei un deficit di cittadinanza:
«…Ciò si traduce spesso in un sentimento di fragilità della loro condizione, in una perdita di fiducia nei sistemi decisionali e in un certo disinteresse per le forme tradizionali di partecipazione alla vita pubblica… Certuni affermano di non identificarsi nelle politiche pubbliche concepite da e per persone più anziane di loro. Una parte dei giovani si rifugia nell’indifferenza o nell’individualismo, un’altra parte è tentata da modi di espressione a volte eccessivi… Una maggioranza di essi vorrebbe tuttavia influenzare le politiche ma non ne trova i mezzi».6
Mi pare che questa sia “la questione” che oggi ci troviamo ad affrontare, il vero nodo che sta sotto le problematiche che si presentano all’identità sociale dei giovani: il lavoro, la casa, l’autonomia, la partecipazione sociale e politica, il disagio sociale. Questi specifici aspetti sono solo la parte visibile della questione giovanile, che si presenta prima di tutto come esigenza di riconoscimento di sé e della propria presenza nella società. Se non si affronta la questione da questa prospettiva si rischia di rincorrere le emergenze o le mode, senza mai incidere sulle fondamenta dei problemi.
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